15/05/2012 – Donne: la vita al lavoro e Filosofia: la donna oggi

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Cinema Trevi-Donne: la vita al lavoro e Filosofia: la donna oggimarted 15 ore 16.30
Speriamo che sia femmina (1986)
Regia: Mario Monicelli; soggetto: Tullio Pinelli; sceneggiatura: Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Suso Cecchi d’Amico, Tullio Pinelli, M. Monicelli; fotografia: Camillo Bazzoni; scenografia: Enrico Fiorentini; musica: Nicola Piovani; montaggio: Ruggero Mastroianni; costumi: Ezio Altieri; interpreti: Liv Ullmann, Catherine Deneuve, Giuliana De Sio, Stefania Sandrelli, Athina Cenci, Lucrezia Lante della Rovere; origine: Italia/Francia; produzione: Clemi Cinematografica, Les Producteurs Associs; durata: 114′
Declino di una famiglia del latifondo toscano (Grosseto) che gestisce un’azienda agricola e in cui contano (e lavorano) soprattutto le donne. Grande film borghese che arricchisce il povero panorama del cinema italiano degli anni ’80 per il sapiente impasto di toni drammatici, umoristici e grotteschi, la splendida galleria di ritratti femminili, la continua oscillazione tra leggerezza e gravit, il modo con cui – senza forzature ideologiche – sviluppa il discorso sull’assenza, la debolezza, l’egoismo dei maschi (Morandini). Speriamo che sia femmina un film molto importante per diversi motivi, dei quali mi limiter a citare solo i due che mi paiono decisivi: l’ampiezza di riferimenti del tema portante, da una parte; la capacit di articolarlo in una miriade di storie microscopiche ben intrecciate fra loro, dall’altra. Il tema netto, inequivocabile, preciso, anche se non enunciato in forme dirette o sfacciate: la fine di una societ e di un mondo basati su rapporti che vedono come asse portante il maschio e la centralit della sua cultura (cultura della propriet, cultura del dominio, cultura degli affetti sottomessi alla idealizzazione narcisistica dell’uomo ovunque questa si manifesti nei rapporti familiari, nell’amore, nella cura degli affari, nel desiderio sessuale, nell’edonismo del fallimento, nell’occupazione di una posizione eminente, e per ci esposta, nella societ e nei valori). Raramente un tema cos ampio e complesso stato trattato con tocco leggero e con discrezione elegante, nei toni sfumati di una luce incerta che lascia come nell’ombra il disegno generale dell’insieme (diciamo pure il “teorema” che regge il film, la precisione con cui ogni elemento della struttura e del racconto sviluppa una sorta di parabola sui rapporti umani possibili nei nostri giorni), e porta alla luce angoli, curve, dettagli, “lasciti” e tracce di una “cultura del femminile” ricca di sollecitazioni e suggerimenti che formicolano pi di dubbi costruttivi che di certezze demolitorie. Il tema del declino di una cultura (e di una societ) di rapporti umani e di rapporti materiali sfiorato con la tenerezza della nostalgia, raffigurato come smembramento silenzioso di un gruppo sociale (la “grande famiglia”) e come ricomposizione dei superstiti (le donne), senza che si senta il pregiudizio ideologico di una scelta di campo sovrimposta al racconto (Grande).

ore 18.30 Roma ore 11 (1952)
Regia: Giuseppe De Santis; soggetto e sceneggiatura: Cesare Zavattini, Basilio Franchina, G. De Santis, Rodolfo Sonego, Gianni Puccini; fotografia: Otello Martelli; scenografia: Leon Barsacq; costumi: Elio Costanzi; musica: Mario Nascimbene; montaggio: Gabriele Varriale; interpreti: Lucia Bos, Carla Del Poggio, Maria Grazia Francia, Delia Scala, Elena Varzi, Lea Padovani; origine: Italia/Francia; produzione: Transcontinental Film, Titanus; durata: 98′
Richiamate dall’offerta di un posto di lavoro come dattilografa, letta su un annuncio economico, alcune centinaia di ragazze accorrono da tutti i punti di Roma alla sede della ditta in cerca di personale. L’attesa dura diverse ore e le ragazze si affollano sulla scala. Ad un certo punto una delle ragazze tenta di passare avanti alle altre con uno stratagemma. Questo provoca nel gruppo una violenta agitazione e la scala, non resistendo all’insolita pressione, crolla trascinando con s le ragazze. Molte riportano contusioni, alcune sono ferite leggermente, altre gravemente, mentre una, malgrado il pronto intervento chirurgico, muore. Lo sfortunato incidente avr per le singole concorrenti conseguenze diverse. Il film si rif a un fatto di cronaca realmente accaduto; ma va oltre la cronaca. Nel rielaborare la realt, De Santis ha per talvolta forzato la realt stessa, tanto che si pu parlare, come qualcuno ha fatto, di “pi che neorealismo”. Trovandosi di fronte a un materiale cos ampio e carico di significati, dovendo tipicizzare un folto numero di figure, questa tipicizzazione e questi significati spesso rimangono nell’ambito dello schematismo critico […]. Malgrado queste limitazioni rimane la qualit sociale dell’opera e non soltanto sociale. Roma ore 11 segna un passo avanti di De Santis, un suo progresso spirituale (Guido Aristarco).

Al cinema con Filosofia: la donna oggi
Una nuova proposta culturale, curata dall’associazione culturale “Vivere con Filosofia”, permette al pubblico di trovare punti di contatto fra filosofia e cinema. Lo spettatore avr la possibilit di immergersi nella magia della proiezione filmica, di viverla emotivamente e di ritrovare in essa, con nuove chiavi interpretative, la profondit della “prospettiva filosofica”. In particolare l’introduzione del filosofo offrir spunti di riflessione sull’idea guida che anima le storie, sulla condizione di inquietudine e fragilit della condizione umana che la ricerca di senso comporta e sullo spessore estetico dei film. L’evento, curato dalla professoressa Rosanna Buquicchio, consulente filosofico e presidente dell’associazione culturale “Vivere con Filosofia”, si propone di riflettere sul tema del femminile a partire dalla visione non solo del film di Paolo Virz, Tutta la vita davanti, ma anche delle pellicole presenti nella rassegna Donne: la vita al lavoro, capaci d’indagare le differenti sfumature di questo mondo. Ciascun lungometraggio diviene esempio delle sfide che la donna tenuta a raccogliere, oggi pi che mai, immersi come siamo in una societ globalizzata e frenetica che costringe a ripensare le categorie tradizionali.

ore 20.15 Incontro moderato da Rosanna Buquicchio con Prof.ssa Francesca Brezzi (Universit Roma Tre)

a seguire Tutta la vita davanti (2008)
Regia: Paolo Virz; soggetto: dal romanzo Il mondo deve sapere – Romanzo tragicomico di una telefonista precaria di Michela Murgia; sceneggiatura: P. Virz, Francesco Bruni; fotografia: Nicola Pecorini; costumi: Claudette Lilly; musica: Franco Piersanti; montaggio: Esmeralda Calabria; interpreti: Isabella Ragonese, Sabrina Ferilli, Elio Germano, Massimo Ghini, Valerio Mastandrea, Micaela Ramazzotti; origine: Italia; produzione: Medusa Film, Motorino Amaranto; durata: 117′
Marta (Isabella Ragonese) una ventiquattrenne siciliana trapiantata a Roma neolaureata con lode, abbraccio accademico e pubblicazione della tesi in filosofia teoretica. In attesa dei risultati del concorso da ricercatrice, e reduce dall’infruttuosa ricerca di un posto adeguato alla sua preparazione, cerca di guadagnarsi da vivere facendo la babysitter. Mentre si prende cura della piccola Lara, viene introdotta dalla madre della bambina (Micaela Ramazzotti) nel call center dove quest’ultima lavora. Qui Marta inizier un terribile viaggio nel precariato, vissuto con gli occhi di una donna giovane e colta, che si vedr costretta a mettere in discussione i propri sogni. Una giovane donna, pur trovandosi immersa in un contesto professionale che le estraneo e di cui non condivide i valori, non smette di lottare per mantenere integra la propria identit, senza scendere mai a compromessi. La sua determinazione verr premiata, e sar d’esempio ad una societ che, per quanto difficile e complicata, non pu restare indifferente rispetto alla speranza che lei incarna. Il film evidenzia con spirito tragicomico le contraddizioni di una societ malata e crudele, dove forse solo l’umilt e l’onest intellettuale che la protagonista incarna costituiscono ancora un’ultima speranza.
Ingresso gratuito

mercoled 16 ore 17.00
Riso amaro (1949)
Regia: Giuseppe De Santis; soggetto: G. De Santis, Carlo Lizzani, Gianni Puccini; sceneggiatura: Corrado Alvaro, G. De Santis, Carlo Lizzani, Carlo Musso, Ivo Perilli, Gianni Puccini; fotografia: Otello Martelli; scenografia: Carlo Egidi; musica: Goffredo Petrassi; montaggio: Gabriele Varriale; costumi: Anna Gobbi; interpreti: Vittorio Gassman, Silvana Mangano, Raf Vallone, Doris Dowling, Checco Rissone, Nico Pepe; origine: Italia; produzione: Lux Film; durata: 108′
Francesca, giovane cameriera d’albergo, istigata dal suo amante, Walter, ruba la collana di una cliente. Fuggono entrambi, e Francesca si mescola alle mondine, che partono in treno. Nel dormitorio delle mondariso, Francesca viene derubata della collana da una compagna, Silvana. Sul luogo del lavoro giunge Walter, il quale avendo appreso che Silvana presumibilmente in possesso della collana, la circuisce. Silvana non insensibile alle premure del lestofante e, abbandonato un sergente che l’ama, diviene l’amante di Walter, mentre il sergente fa la corte a Francesca, che si pentita ormai del male fatto. Walter, avendo scoperto che la collana rubata falsa, decide, per rifarsi, di rubare il riso accumulato nei magazzini come premio finale per le mondariso. Mentre le ragazze festeggiano la fine della stagione di lavoro, Walter convince Silvana ad immettere di nuovo l’acqua nei campi, per distrarre l’attenzione delle mondine e degli operai. Ma ha fatto i conti senza Francesca e il sergente…. Le ragioni per le quali Riso amaro resta un caposaldo emblematico del periodo pi fertile del cinema italiano – che possono aiutarci a capire meglio lo stesso fenomeno del neorealismo – sono assai forti. Fin dalla sua nascita il neorealismo sollev, soprattutto tra i critici italiani, il problema di quanto fosse un movimento unitario, in che misura e perch autori tanto eterogenei [] e di umori cos vari fossero visti dalla critica di tutto il mondo come parte di una scuola piuttosto omogenea: dal sofisticato Luchino Visconti al sanguigno De Santis, dal cronachistico Roberto Rossellini al patetico e appassionato Vittorio De Sica. E molti se lo domandano ancora oggi. Proprio Riso amaro (vi giocano la favola e la tranche de vie, il romanzo e il grand guignol, il corale e l’individuale) sembra raccogliere in s alcune delle aporie pi lampanti del neorealismo. Ma se Riso amaro fosse invece un pastiche sia pure geniale, il frutto di una semplice giustapposizione di motivi diversi? Se poi il neorealismo non esistesse, come taluni hanno voluto ribadire in questi ultimi decenni? [] Il rischio di una verifica di tali ipotesi su Riso amaro alto, ma l’omogeneit del fenomeno Riso amaro un fatto certo. Avrebbe altrimenti avuto, questo film, la capacit deflagrante – esso s – di una bomba, se fosse soltanto una aggregazione aritmetica degli elementi che lo compongono? Riso amaro, insomma, come la pi suggestiva metafora del neorealismo storico (Lizzani).

ore 19.00
Le ragazze di Piazza di Spagna (1952)
Regia: Luciano Emmer; soggetto e sceneggiatura: Sergio Amidei; fotografia: Rodolfo Lombardi; scenografia: Mario Garbuglia; musica: Carlo Innocenzi; montaggio: Jolanda Benvenuti; interpreti: Lucia Bos, Cosetta Greco, Marcello Mastroianni, Ave Ninchi, Leda Gloria, Liliana Bonfatti; origine: Italia; produzione: Astoria Film; durata: 99′
Marisa, Elena e Lucia, lavoranti d’una grande sartoria nelle vicinanze di Piazza di Spagna, sono legate da intima amicizia. Abitano alla periferia di Roma: Marisa alla Garbatella, Elena a Monteverde, Lucia alle Capannelle. Marisa, di famiglia proletaria, fidanzata con un operaio che minaccia di lasciarla quando inizia a fare l’indossatrice. Elena promessa ad un impiegato: quando scopre che il fidanzato non l’ama veramente, ma mira solo al modesto appartamento in cui vive con la madre, la delusione la turba tanto da indurla a tentare il suicidio. L’amore di un onesto autista di piazza la salver dalla disperazione. Lucia che piccina, si sente particolarmente attratta dai giovanotti d’alta statura e non si cura di un piccolo ed esile fantino, che l’ama da anni… La personalit del regista [] si va sempre meglio delineando, nei suoi limiti e nelle sue risorse. I suoi limiti sono segnati dall’esilit della sua vena crepuscolare, affabile del resto e maliziosa. Le sue risorse sono costituite dalla delicatezza del tocco, dalla levit dei suoi estri e dalla freschezza delle sue percezioni visive e psicologiche che col loro brio danno una specie di spuma (Mario Luzi).

ore 21.00 Io la conoscevo bene (1965)
Regia: Antonio Pietrangeli; soggetto e sceneggiatura: A. Pietrangeli, Ruggero Maccari, Ettore Scola; fotografia: Armando Nannuzzi; scenografia e costumi: Maurizio Chiari; musica: Piero Piccioni; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Stefania Sandrelli, Enrico Maria Salerno, Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, Mario Adorf, Jean-Claude Brialy; origine: Italia/Francia/Germania; produzione: Ultra Film, Le Film du Sicle, Roxy Film; durata: 122′
Adriana, una bella ragazza di campagna, dal Pistoiese si trasferisce a Roma in cerca di fortuna. Comincia a lavorare come domestica, poi fa la parrucchiera, quindi la maschera in un cinema, poi la cassiera in un bowling. Credulona, ingenua, ignorante, attratta soltanto dai dischi e dal ballo, mentre passa da un mestiere all’altro, subisce con indifferenza e con amoralit ogni compagnia maschile che le si presenta. Ma il suo non calcolo, bens fragilit, incoscienza e bisogno d’affetto. Di lei tutti approfittano, ma Adriana non se ne accorge e, nonostante tutto, piena di speranza, affida il denaro guadagnato a un ambiguo agente che le profila la possibilit di fare del cinema. In realt, Adriana non far che alcuni inserti pubblicitari; prender parte come comparsa ad un film mitologico; presenter qualche vestito in teatrini di provincia. N la nostalgia del paese d’origine, n l’interruzione di un’incipiente maternit riusciranno a salvarla. Io la conoscevo bene, diranno tutti coloro che si sono serviti della sua freschezza; al contrario, nessuno aveva penetrato nella confusa realt dove nemmeno lei sapeva orientarsi […]. Non soltanto la storia d’una provinciale bruciata […] anche un segnale d’allarme per chi si creda […] in diritto di scagliare una pietra, assolvendosi con la piet. Il film ha difetti […] ma non tali da mettere in pericolo la solidit della struttura […]. L’interpretazione della Sandrelli […] ha […] una buona spontaneit di riflessi, sempre al livello di una naturalezza priva di retroterra culturale. Dei molti uomini […] si devono ricordare almeno Tognazzi, nella sua parte d’un guitto […] e Manfredi, che disegna un’equivoca figura di talent scout (Grazzini).

gioved 17 ore 17.00 L’aria serena dell’Ovest (1989)
Regia: Silvio Soldini; soggetto: S. Soldini, Paola Candiani; sceneggiatura: Silvio Soldini, Roberto Tiraboschi; fotografia: Luca Bigazzi; scenografia e costumi: Daniela Verdenelli; musica: Giovanni Venosta; montaggio: Claudio Cormio; interpreti: Patrizia Piccinini, Fabrizio Bentivoglio, Antonella Fattori, Ivano Marescotti, Silli Togni, Roberto Accornero; origine: Italia; produzione: Monogatari, Pic Film, Radio Televisione Svizzera Italiana; durata: 110′
Un’agendina che passa di mano in mano fa incrociare le vite di quattro persone nella “Milano da bere” di fine anni Ottanta. Mentre all’Est sfilano i carri di Tienanmen e crolla il Muro di Berlino, una piccola umanit si sfiora, si incontra, si perde senza che nulla – o quasi nulla – riesca a cambiare. una tranquilla alienazione, L’aria serena dell’Ovest. Storia di un’agendina smarrita, tramite grazie al quale vari personaggi s’incontrano, si sfiorano, tentano di entrare in contatto. Racconto minimalista sul giuoco del caso e del desiderio nella vita quotidiana di una Milano dai colori freddi [] come raramente s’era vista al cinema. Con lo sguardo di un documentarista Soldini innesta con sapienza la fiction nella precisione sociologica dei comportamenti, tracciando il grafico di un malessere generazionale. L’infermiera di P. Piccinini una delle figure femminili pi vive dell’ultimo cinema italiano (Morandini).

ore 19.00 Del perduto amore (1998)
Regia: Michele Placido; soggetto e sceneggiatura: M. Placido, Domenico Starnone; fotografia: Blasco Giurato; scenografia: Paola Comencini; costumi: Claudio Cordaro; musica: Carlo Crivelli; montaggio: Francesca Calvelli; interpreti: Giovanna Mezzogiorno, Fabrizio Bentivoglio, Rocco Papaleo, Sergio Rubini, Enrico Lo Verso, M. Placido; origine: Italia; produzione: Clemi Cinematografica, Rai-Cinemafiction ; durata: 101′
Lucania, 1958. Gerardo, espulso dal collegio per sospetta omosessualit, coinvolto da Liliana, giovane militante comunista, nell’apertura di una scuola per ragazze analfabete, iniziativa osteggiata dai galantuomini della DC, alleata con l’MSI, e non gradita al PCI. La scuola incendiata dai fascisti locali cui si unisce Gerardo, ingelosito dalla relazione di Liliana con il medico del paese. Dopo le elezioni dove riceve molti voti, Liliana muore di aneurisma. Al suo funerale, nonostante l’ostracismo del parroco, partecipano tutte le donne del paese. Ispirata alla vera vicenda di Liliana Rossi, vissuta ad Ascoli Satriano (FG) e morta a ventiquattro anni, la storia rievocata da Gerardo adulto, divenuto sacerdote. Quello di Michele Placido sembra un film in costume per come ci trasporta in un’Italia che pare lontanissima. Placido ha ricostruito un Sud duro e struggente. Giovanna Mezzogiorno bravissima nel calarsi nei panni di Liliana, questa ragazza che si inventa dal nulla una scuola “alternativa2 per i bambini poveri del suo paesello, e si batte contro la grettezza dei notabili democristiani ampiamente sostenuti, quasi 15 anni dopo la Liberazione, dagli ex fascisti: una vicenda politica che diventa anche un romanzo di formazione, vista attraverso gli occhi di un ragazzino che anni dopo – lo vediamo, nel prologo, interpretato dallo stesso Placido – diventer un parroco da combattimento (Crespi).

ore 21.00 Giorni e nuvole (2007)
Regia: Silvio Soldini; soggetto: Doriana Leondeff, Francesco Piccolo, S. Soldini; sceneggiatura: Doriana Leondeff, Francesco Piccolo, Federica Pontremoli, S. Soldini; fotografia: Ramiro Civita; scenografia: Paola Bizzarri; musica: Giovanni Venosta; montaggio: Carlotta Cristiani; interpreti: Margherita Buy, Antonio Albanese, Alba Rohrwacher, Giuseppe Battiston, Carla Signoris, Fabio Troiano; origine: Italia; produzione: Lumire & Co., Amka Films Productions, RTSI; durata: 116′
Elsa e Michele hanno una figlia di vent’anni e vivono una vita agiata e serena. Elsa ha potuto anche realizzare il sogno di lasciare il lavoro per dedicarsi allo studio della storia dell’arte. Proprio subito dopo la sua laurea, quando Elsa si sente finalmente appagata, arriva un fulmine a ciel sereno: Michele confessa di essere stato estromesso dalla societ da lui fondata e di essere senza lavoro da due mesi. Elsa, nonostante tutto, riesce a fronteggiare la situazione ritrovando in s un’insospettata energia, mentre Michele passa dall’euforia alla depressione a seconda di come procede la sua ricerca di lavoro. Il rapporto tra i due si incrina tanto da arrivare alla rottura, ma poi entrambi si rendono conto di non voler perdere l’unica cosa preziosa che hanno: il loro amore. Li aspetta ancora un lungo percorso di vita insieme. Giorni e nuvole non un film, sono tre film uno dentro l’altro, a costruire un racconto dall’equilibrio perfetto. Il primo film appartiene al piccolo Wenders: uno sguardo metafisico su Genova, sui suoi spazi, sulle sue aperture fisiche e mentali magnificamente fotografate dall’operatore Ramiro Civita, lo stesso della Ragazza del lago. Il secondo un film sociale. […] Il terzo, forse quello al quale Soldini tiene di pi, un film d’amore. […] Le scene pi belle del film sono forse quelle in cui Michele, assieme a due suoi ex operai anche loro a spasso, fa lavoretti da muratore e scopre cosa si prova a lavorare davvero. Intorno a loro c’ una Genova dove il terziario sembra in crisi quanto la vecchia industria portuale, e un disoccupato quasi si vergogna di esultare quando lo riprendono al cantiere. Su tutto aleggia una musica arabeggiante che sembra suggerire come Genova non sia poi cos diversa da Algeri, Beirut o Alessandria D’Egitto, da altre metropoli mediterranee che nella nostra ottusa mentalit appartengono al terzo mondo. Elsa e Michele sono Margherita Buy e Antonio Albanese: fenomenali. Esiste un quarto Soldini, il direttore d’attori, che ormai non ha pi nulla da imparare (Crespi).

Source Article from http://www.info.roma.it/evento_dettaglio.asp?eventi=23172

Category : Eventi

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